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La via delle traduzioni: testimonianza di un traduttore professionista

Di seguito, alcune riflessioni sul mestiere del traduttore, fortune e sfortune di un percorso e di una professione.

18 mar 2014 Articoli - Tempo di lettura: min.

Non sono – o comunque non mi reputo – un grande traduttore: non traduco saggi o romanzi a rotta di collo né ho vaste conoscenze teoriche della materia. Ma non sono nemmeno l’ultimo arrivato: in passato avevo già eseguito diverse traduzioni e scritto alcuni saggi - a titolo personale - in inglese, benchè non da professionista; traduco soprattutto dall’inglese; ho buone collaborazioni e le persone per cui lavoro sono – credo – abbastanza soddisfatte di me. Professionalmente, insomma, non posso lamentarmi; così, a patto di continuare a impegnarmi e sforzarmi anzi di migliorare, forse posso guardare al futuro con discreto ottimismo.


Eppure non ho studiato per fare il traduttore o, meglio, avevo studiato l’inglese per passione personale, ma non avevo mai pensato – almeno all’inizio – che potesse diventare la fonte della mia attuale professione.

Conosco bene l’inglese per averlo studiato alle medie, superiori ed università, con ottimi voti, poi ho continuato a coltivarlo per conto mio, e per aver girato molto in Europa ed in America; anche le mie letture non sono vastissime, sono venute piuttosto tardi, sono frammentarie, non ho un genere preferito.


Allora qual è il mio segreto, se tanti - con le carte molto più in regola di me - stentano a trovare la via delle traduzioni?

Non lo so, né so se davvero ce ne sia uno.

Più verosimilmente, c’è una combinazione di tanti fattori: passione, impegno, pazienza, incoscienza, masochismo, tenacia, desiderio di riscatto, gusto per la solitudine, voglia di rischiare, intuito, antenne dritte, pubbliche relazioni, disponibilità, capacità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto… magari anche un pizzico di fortuna, che non guasta mai (ma, è risaputo, dobbiamo andare noi a cercarcela, e non aspettare che sia essa a venire da noi, senza sforzarci di muovere nemmeno un dito).


Non farò tutta la storia del mio percorso traduttivo, che probabilmente non è nemmeno così interessante. Racconto solo in linea di massima il percorso che ho seguito: ho puntato a tradurre le cose che più mi piaceva – cioè, sia tutto quello che mi capitava tra le mani per la curiosità di capire (articoli di giornali e riviste, reportage, brevi saggi) sia il settore annesso alle mie esperienze lavorative parallele (il marketing ed il commercio) – ed ho concentrato tutta la mia attenzione su questi settori.


All’inizio ho forse avuto un po’ di fortuna, perché sono andato subito a segno al primo tentativo, con la collaborazione con un’azienda padovana che esporta i suoi prodotti e servizi all’estero, nei paesi dell’est, potendo abbinare, quindi, la passione per la lingua inglese alle mie esperienze di marketing e di commerciale.

Ma questo non significa che da un giorno all’altro mi sia ritrovato traduttore.

Ho cominciato a tradurre con regolarità e, sulla scia di questo entusiasmo, ad effettuare anche traduzioni tecniche ed ad insegnare la lingua inglese e, soprattutto, a trasmettere la cultura e la passione per questa lingua a ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado.

Ho dunque fatto qualche incursione in questi campi; e anche qui, all’inizio, ho avuto probabilmente una buona dose di fortuna, iniziando una collaborazione con un’agenzia di traduzioni di Udine.

Ma, il mio interesse prioritario continuava a essere rivolto verso l’aspetto commerciale e tecnico di marketing. Solo che, benché avessi ormai una buona preparazione pratica, sentivo che mi mancava una pur minima formazione teorica; così stavo con le antenne dritte, alla ricerca di un buon corso alla mia portata.

Questo corso mi è venuto incontro qualche settimana fa a Padova.

Perciò, non ci ho pensato due volte, mi sono iscritto alla prova di selezione (sulla carta, in verità, non avrei nemmeno potuto accedervi, non essendo né laureato né laureando, ma la pratica acquisita sul campo per così dire è servita da lasciapassare), e l’ho superata.


A quel punto ci ho messo molto di mio, molto di quello che già sapevo a livello pratico, lavorando sodo e seguendo una mia strada molto personale.

In questo periodo mi ritrovo contemporaneamente impegnato su tre fronti:

La collaborazione con l’azienda di Padova;L’insegnamento;L’espletamento della mia naturale connotazione lavorativa come Area Manager per una notissima azienda del sud produttrice delle sete di San Leucio (CE), curando l’export ed i contatti commerciali in Russia, Lituania, Bulgaria....E sto per iniziare la collaborazione con l’agenzia di Udine.

Il denominatore comune di questi tre rami d’attività è sempre lo stesso: l’utilizzo dell’inglese come lingua d’insegnamento o d’intermediazione commerciale.


Alla fine i risultati ci sono stati: da solo mi sono costruito collaborazioni proficue!

Malgrado le tante difficoltà incontrate (per motivi indipendenti da me), ho finito per fare il traduttore in “pianta stabile”.

Avevo studiato l’inglese per passione culturale, ma non avevo mai pensato che un giorno l’avrei “tradotta” in una professione!

Poi, da lì, una cosa tira l’altra.


Quando da una parte cominci ad avere qualche buon primo risultato concreto, e dall’altra continui ad accumulare traduzioni su traduzioni, la strada cessa di essere sempre in salita, a volta spiana e ci sono anche lievi tratti in discesa.

Insomma, forse cominci a essere appetibile come traduttore; non sei più sempre e soltanto tu a cercare, ma a volte sono anche gli altri a cercare te.

Questa, per sommi capi, la mia storia traduttiva fin qui.

Mi auguro possa essere utile nell’offrire spunti interessanti per quanti vogliano intraprendere questa professione.

Tommaso.

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