In un mondo sempre più unito e globalizzato il ruolo della traduzione diviene fondamentale nelle questioni di giustizia e di diritti umani. La garanzia di un processo giusto passa anche per l’esigenza di un’adeguata comprensione da parte dell’imputato del procedimento in atto a suo carico.Un tema che riguarda non solo i traduttori, ma anche i magistrati e gli avvocati.
Una questione importante questa, venuta fuori nel 2010, quando il Parlamento Europeo e il Consiglio UE stilavano la Direttiva 2010/64/UE la quale vincolava gli Stati membri ad adottare, entro il 27 ottobre 2013, misure che tutelassero il diritto dell’imputato alloglotta ad avere un interprete e alla traduzione degli atti fino alla conclusione del procedimento penale, oltre che della pena eventualmente inflitta. Una direttiva che sta tardando ad essere recepita in Italia e che porta alla luce questioni molto delicate.
Se la direttiva disponeva l’istituzione di qualcosa di simile ad uno specifico albo di traduttori e interpreti “indipendenti e debitamente qualificati”, tenuti alla riservatezza, ancora in Italia questo non esiste. Esistono elenchi che vengono utilizzati ma all’oggi un traduttore si iscrive all’albo dei CTU (consulenti tecnici d’ufficio).
È necessario accertare la competenza linguistica dell’imputato attraverso un apposito procedimento da stabilire; una traduzione che eventualmente anderebbe fornita anche alla vittima del reato se fosse anche essa alloglotta.
Anche la scelta della lingua può essere un tema complesso. Mentre spesso si preferisce una lingua veicolare per la difficoltà di cercare interpreti di lingue meno diffuse, in alcuni paesi come l’Ungheria, si riconosce il diritto ad un’interprete di madrelingua. Ma anche qui va precisato che la direttiva pone lingua veicolare e lingua madre sullo stesso piano.
Altra spinosa questione si presenta al momento di decidere sui colloqui con il difensore. Di recente anche questo aspetto è stato sollevato, assieme alla questione degli oneri che lo stato deve sostenere per tale servizio; non è ben come individuare quali siano i colloqui in cui tale necessità è reale.
Inoltre è necessaria una norma apposita per stabilire quali e quanti atti processuali siano quelli fondamentali e da tradurre; mentre viene indicato esplicitamente di tradurre gli atti che <>, gli <> e le sentenze, ma rimane ambiguo quali siano i documenti << che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare l’equità del procedimento>>. Il tutto porta con sé proposte che comporterebbero la traduzione solo parziale, saltando i passaggi non fondamentali o la traduzione orale, che implica i maggiori problemi in materia di fiducia sul processo.
Ultima e forse più importante diviene la questione della qualità della traduzione e dell’istituzione non di elenchi di periti ma di professionisti grazie ad un apposito registro disciplinato dal legislatore.
Una questione spinosa e complicata, che certamente non può più essere ignorata.